Vino biologico domenica 15 settembre 2013
“Per favore, cameriere, una bottiglia di vino..e
che sia vino biologico, mi raccomando!”.
Avete mai sentito una richiesta del genere in un ristorante? E chiaramente sto parlando di richieste fatte da persone che magari abbiano una conoscenza, seppur minima dell'argomento vino.
Di solito si chiede un vino di una specifica azienda vinicola, che possa essere di un'annata oppure di un'altra e che, forse, è “anche” biologico.
Di agricoltura biologica si parla da anni e, passato il momento iniziale dove sembrava essere più una moda che una reale necessità (quanto faceva “figo” parlare con gli amici dei prodotti biologici usati) ora invece, costantemente bombardati da notizie terribili sullo
stato disastroso dell'ambiente e la relativa influenza sulla nostra salute, i prodotti biologici stanno prendendo sempre più piede e mercato.
Ma, se parliamo di vino biologico, bisogna aprire un capitolo a parte, e confrontarci con una realtà che stenta a decollare.
Provate ad andare nel vostro supermercato di riferimento: troverete tra i prodotti freschi un banco dedicato a verdura e frutta biologica, troverete biscotti biologici, pane biologico, olio biologico e addirittura detersivi biologici (o che perlomeno sono a basso impatto ambientale) ma per quanto riguarda il vino, quasi nulla.
Forse troverete una marca o due, di solito vini rossi, tra qualche decina di bottiglie esposte, che riporta la dicitura ”
vino ottenuto da uve biologiche”.
Ed ecco che muoviamo i primi passi in questo mistero!
Infatti, da anni, il settore della viticoltura, è molto diviso su questo argomento per un paio di motivi fondamentali.
Primo fra tutti il problema della certificazione.
Fino a luglio 2012, non esisteva a livello italiano ed europeo, una disciplinare che regolamentasse la produzione di vino biologico.
Quindi, fino all'anno scorso, i viticoltori che volevano cimentarsi in questo settore, andavano un poco a tentoni cercando di “rendere” il vino più “biologico” possibile, secondo coscienza, rispettosa dell'ambiente, e secondo, soprattutto, la
coltivazione di uve biologiche che erano le uniche controllabili e certificabili, lasciando ampio spazio “incontrollato” (intendo senza normative precise) al processo di lavorazione ed invecchiamento.
Infatti, qui si innesca in maniera decisa il secondo problema che divide gli appassionati del settore: la
vinificazione e l'affinamento (invecchiamento).
Se le uve sono biologiche, come possono esserlo la vinificazione e l'affinamento, che fanno uso di varie sostanze che alterano la maturazione naturale dell'uva, tra cui i solfiti?
Come si può parlare di vino biologico se in realtà di biologico rimane ben poco?
E ben poco chiarisce la normativa di cui accennavo sopra.
Infatti, seppure in questa disciplinare sia stato fatto un tentativo di regolamentazione del settore, indicando processi, quantità massime di solfiti, prodotti concessi o ridotti nei dosaggi, fino ad arrivare ad una nuova etichetta che abbia un “logo biologico”, il dubbio che il vino poi non sia fino in fondo “bio”, rimane.
Su questo argomento specifico si basa, quindi, la “resistenza”, di molti addetti del settore, ad investire nella produzione di questo
particolare tipo di vino, poiché, per loro, il vino biologico non esiste proprio in quanto ogni “modifica” altera quanto di "biologico" ci possa essere.
Dal mio punto di vista, seppur creda molto che l'unica possibilità per l'uomo sia un approccio biologico verso la natura, quando acquisto una bottiglia di vino, per ora, mi accontento di scegliere un prodotto che
non sia sotto la soglia dei 5 euro, dando un'occhiata alle modalità di vinificazione ed affinamento, certa che i produttori italiani siano molto attenti alla qualità e salubrità del loro prodotto.
Questo vale per ora...poi il resto lo scopriremo “solo vivendo”... © RIPRODUZIONE RISERVATA
Maria Cristina Dolciotti - vedi tutti gli articoli di
Maria Cristina Dolciotti
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